20 settembre 2015

Io sono verticale.



Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me. 

(Sylvia Plath)

TEMPO PER ME... Nonostante l'amarezza e il presagio che pervadono l'intera poesia, ho sempre pensato leggendola, ad un battito d'ali leggerissimo, all'imperfezione della mortalità e alla sua bellezza.




33 commenti:

  1. È una poesia molto delicata, racchiude il segreto, racchiude ogni stagione, racchiude la pace.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Lola, benvenuta. Sylvia cercava la pace con tutte le sue forze, ovunque. Ma non riuscì a trovare quella che avrebbe dato speranza al suo cuore. Anche io ritengo questa poesia delicatissima. Un po' come lei: delicata e disperata...

      Elimina
  2. Appena ho visto il titolo in home blogger, non ho resistito *__* La Plath!
    È una poesia terribile, che racchiude la sofferenza della diversità, della non appartenenza, del non sentirsi mai al posto giusto. E a scriverlo era una donna che per i canoni del tempo doveva - per forza - avere un vita felice (anni '60); invece nemmeno i suoi figli sono riusciti a darle la forza per sopravvivere a se stessa e al buio interiore. Nonostante la crudezza che sta sotto, i versi sono bellissimi e soavi. È Sylvia, unica!
    Buon domenica a tutti e un abbraccio a te, Mariella! ^^

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo Glo', cosa diavolo poteva mancare a 'sta donna? Aveva tutto, una buona posizione, un marito perfetto, figli splendidi. Viveva in America, paese baluardo della libertà. Ma non le servi' neppure allontanarsi e provare a vivere in Gran Bretagna. Le mancava il respiro, era oppressa, infelice. E nessuno comprendeva il suo disperato bisogno di essere accettata è compresa, con tutti i limiti della sua malattia. Neppure lo "splendido" marito che poi l'abbandono'. Il suo non volersi adattare alle abitudini e alle consuetudini che aborriva, era un richiamo. Come i tentativi di suicidio. Fino all'ultimo. Ci ha lasciato le sue disperate urla. Arrivano fino a noi, lasciandoci senza fiato.

      Elimina
  3. Grande Sylvia Plath... Mi ricordo che ci misi tanto ad amarla e a capirla, ma poi, quando lessi che paragona il figlio ad un grande orologio dorato... Mi ha conquistato :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E lei invece si descrive come una balena avvolta in una vestaglia vittoriana (no forse vacca). Io mi sono innamorata di lei per colpa di tutti quei papaveri...

      Elimina
  4. Un brano stupendo, nato da una vera artista, come soltanto pochi sanno/possono essere.
    La complessa vicenda esistenziale della Plath ed il suo innato talento confermano l'adagio secondo cui il "genio si accompagna sempre a un po' di follia, anche se nel caso specifico si tratta di una lucidissima follia.
    Ti domandi, Mariella cara, cosa mancava a questa donna, visto che sembrava una persona felice.
    E allora, rispolverando qualche nozione di psicologia appresa all'università, ti dirò che a volte la depressione si abbatte proprio sulle persone che (almeno in apparenza) sono paghe...ovvero hanno tutto!
    Un abbraccio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nigel caro, la mia domanda era ironica. Condivido tutto quanto hai scritto. Un abbraccio.

      Elimina
  5. io amo alla follia la Plath, ha influenzato molto i miei gusti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io non alla follia, ma mi piace e mi turba tantissimo.

      Elimina
    2. Io non la conoscevo...è grave?
      Ora esploro :))

      Elimina
    3. Ahahah ma no Gioia. Esplora e poi dimmi...

      Elimina
  6. Bella questa poesia, intima e calda, piena di pensieri e riflessioni che vanno anche ben oltre le righe e le parole :)

    Un abbraccio a te :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai ragione Mauri, una delle attrattive della sua poesia e' il farci percepire con esattezza i suoi pensieri più profondi, la sua intimità. Ti abbraccio.

      Elimina
  7. Dolce e delicata. Triste e profonda... grande!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si' doveva essere davvero così. Ed è quello che traspare... Un bacio Pat!

      Elimina
  8. L'ho letta due volte e per due volte ho sentito freddo. È stata la mia unica reazione. Non conosco l'autrice, dovrei leggere qualcos'altro per capire di più. Fermandomi a questa poesia poso dire che io non l'avrei mai scritta. L'ho riletta ed è sempre freddo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ho capito se il freddo riguarda i versi letti oppure tutto ti lascia indifferente. Perché sai, a mio parere, le sue parole lasciano scoperta l'anima. E non si può rimanere immobili... Se non la conosci approfondisci. Ti abbraccio.

      Elimina
    2. Indifferente? Tutt'altro. Mi ha dato una sensazione di gelo dentro. Ho pure aggiunto che non l'avrei mai scritta una poesia così, volendo intendere che credo che bisogna trasmettere del calore e non del gelo, ma certamente non mi sono espresso chiaramente. Mi scuso.

      Elimina
    3. Oh, meno male. Qui ce la faccio. Di che ti scusi Enzo? Ero io a non aver capito. Ora è chiaro che non ti piace. va bene così!

      Elimina
  9. Mi ha scosso abbastanza dolcissima..ed è inutile che ti chieda il perchè...
    A parte le lacerazioni personali, è bellissima e soave..
    Bacio della sera...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fa male Nella. Hai ragione cara amica. In ogni caso è come un aratro che lascia dopo il suo passaggio l'esatto punto in cui seminare la consapevolezza che quella malattia non sia affatto un'invenzione di chi non ha niente altro da fare. Ma è dolore, sofferenza, certezza. Bacio a te.

      Elimina
  10. Il confronto con Emily Dickinson viene spontaneo....
    La solitudine di Emily è frutto di una scelta consapevole e l'anima di lei era talmente piena di vita da creare un universo intero di visioni e di sentimenti.
    Sylvia appare prigioniera di un corpo e una vita non suoi, vissuti come un ergastolo; e forse per questo lo "stare sdraiata per sempre" sembra l'unica via per sentirsi finalmente accolta ed accettata. Che esistenza tormentata, però...

    RispondiElimina
  11. Versi che entrano sotto la pelle, scavano profondi solchi che si riempiono di fiumi di sofferenza, profondo smarrimento nel capire di non aver radici e di essere nulla.
    Ub abbraccio donnina dai tacchi a spillo!

    RispondiElimina
  12. @ Annamaria. Concordo con la tua analisi di confronto con Emily Dickinson. Lei preferì arricchire il suo mondo interiore semplicemente guardando dalla finestra della sua camera, dove si era rifugiata chiudendosi al resto. Ed era compresa ed amata dai suoi affetti più cari che le resteranno sempre accanto. Sylvia invece era sola e disperata. Nessuno comprese la malattia, nessuno le fu accanto. L'unica via di fuga era lo sdraiarsi per sempre. Un abbraccio.

    RispondiElimina
  13. @Xavier a volte comprendiamo la sofferenza degli altri perché riusciamo a farla nostra. Nel caso di Sylvia grazie alle sue parole arriviamo a lei. Nuda e cruda, senza fronzoli. Un abbraccio ragazzo bello!

    RispondiElimina
  14. Scusate tutti, ma ho grossi problemi a commentare sul mio blog. Riesco solo col cellulare. Perdonate se non riesco a scrivere in risposta ad ognuno.

    RispondiElimina

Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.
(Emily Dickinson)