28 dicembre 2013

Lorenzo Jovanotti Cherubini - Gratitude.










E' un gran bel libro.
Per augurarvi Buon Anno uso le sue parole.
Sempre ottimiste, sempre guardando avanti.
Perchè guardare indietro non serve a nulla. Bisogna, dobbiamo essere proiettati verso il futuro.
Per migliorare, per migliorarci.




"  A me è capitato in dote un lato del carattere che, mettendo ceri a tutte le statue di santi che ci sono al mondo, per ora mi ha sempre assistito, ovvero ho la propensione a credere che non c'è mai stato un periodo migliore, più stimolante abbondante interessante e valido di ora, precisamente adesso, questo giorno di questo millennio, questo ... e questo... Sì, anche il periodo che stiamo vivendo, che sembra essere nero: se mi guardo intorno vedo un mondo che finisce con le conseguenze dolorose di ogni fine ma vedo altrettanto chiaramente un mondo che nasce, tutto da fare, tutto da immaginare, tutto da sviluppare:sarà un'impresa collettiva, tanto quanto quella che fecero i nostri nonni ricostruendo l'Italia dopo la seconda guerra mondiale. Lo so che la parola "impresa" sembra nascondere un inganno, un'idea di mondo materialista, individualista e vagamente ricattatoria, ma non è così. Quando Ludovico Ariosto all'inizio del suo Orlando Furioso parla di AUDACI IMPRESE, le donne, i cavalier, l'arme, gli amori, sta parlando a noi gente di oggi tanto quanto ai suoi contemporanei."



Auguri a tutti voi.

BUON 2014





19 dicembre 2013

Lettera a Babbo Natale










Ciao Babbo Natale, sono Federico ho tre anni e dieci mesi e sono un tuo grandissimo fan.
Scusa se la mia lettera è scritta in stampatello ed è un po’ sbilenca ma ho appena imparato a scrivere ed è già tanto così, accontentati.
Sai volevo scriverti da un po’ ma mia mamma Ai e mia zia Mari si sono opposte a lungo. Siamo in troppi e dove mai lo potresti trovare il tempo da dedicarti alla lettura di tutte le lettere che ti arrivano? Che poi zia Mari c’è l’ha sempre con la storia della Befana dei ferrovieri e che noia! Quelle due quando ci si mettono riuscirebbero a far perdere la pazienza anche ai santi con la caterva di no che riescono a pronunciare.
Io ho puntato i piedi perché sono una testaccia dura (chissà da chi avrò preso mai) fino a quando la zia si è convinta a darmi una mano. Sai l’ho riempita di baci e lei si è sciolta come una zolletta di zucchero. Dici che ho già capito come comportarmi con le donne?
 La revisione ortografica della lettera sarà sua, quindi per i reclami sugli orrori compreso il perché con l’accento sbagliato,  prenditela con lei.
Avrei puntato  un regalo a dire il vero. Io adoro Rai Yoyo e avere a che fare con le reti televisive per bambini è quasi come subire una lobotomia quotidiana. A forza di sfracassarci i cosiddetti (le parolacce non posso ancora dirle) alla fine ci prendono per sfinimento. E allora mi sono intrippato con Otto Maialotto. Uno di quei giochi sacrosanti e sfacciatamente stupidi.
Mamma e papà  si sono stupiti della mia richiesta. Sanno della mia passione per numeri e lettere oltre che per i mattoncini della Lego e Topolino. Ma diavolo, in che lingua devo dire loro che sono solo un bambino e che a volte mi piace enormemente ricevere un regalo trash?
Certo mi vengono in mente anche delle richieste più serie e allora mi faccio aiutare per metterle giù.
Sarei contento se ci fosse sempre il sole e con il bel tempo riuscissi ad uscire per andare a giocare. Il problema è dove. Nella mia città Napoli, tali spazi quasi non esistono. A dire il vero manco altrove. Le mie cuginette Isabella e Rebecca hanno le stesse perplessità e vivono a Roma. Non esistono neppure gli spazi normali, quelli per il transito.
Ti faccio un esempio. Essendo un bambino ancora piccolo, mi piace passeggiare sì, ma non troppo.
E quando mi stanco è una meraviglia per me farmi scarrozzare in passeggino. Già.
Marciapiedi inesistenti  e ridicoli in larghezza o ingombri dell’impossibile.  Macchine e moto parcheggiate ovunque; che slalom fa la mamma quando mi porta in giro. E vogliamo parlare degli scarichi delle auto che arrivano giusto all’altezza del mio naso? Io quegli odori  proprio non li sopporto. E me li becco tutti. Da quanto ho capito però, non si tratta solo di cattivo odore è proprio il respirarlo che non mi fa bene. Per non parlare delle barriere architettoniche. A Napoli siamo carenti anche in questo, si sa. Ma la cosa che mi ha sorpreso è stato rendermi conto che lo stesso è anche a Milano. Città europea per eccellenza. Eppure. Nei giorni scorsi sono andato a trovare gli zii (sempre Mari e Francesco) che vivono lì. Non è  stato  affatto facile per papà e mamma utilizzare i mezzi pubblici e la metropolitana. Ci sono quattro linee piene di colori, rossa verde gialla e lilla. Io sono andato in giro soprattutto su quella  rossa e quella verde e devo dire che se non fosse per il fatto  che il mio papà è bello e forte, diventava complicato accedere sia alla superficie che alle metropolitane. Tante scale mobili che non funzionavano. A Sesto Marelli addirittura per tornare a “ veder le stelle” ( vabbè la zia ha fatto le scuole high ed esagera) bisogna farsi una bella rampa di scale a piedi. E per  passare dalla linea rossa alla verde in piazzale Loreto, ci sono altre due belle rampe di scale da fare. Perché l’ascensore ti porta solo verso una direzione ma non copre l’altra. Ecco, questo proprio non mi è piaciuto. E poi dico, ma dove vanno tutti come furie dal mattino alla sera? Sono folli  e non ti guardano mai negli occhi. Ti spingono e ti buttano da un lato e ti passerebbero pure sopra con indifferenza, nel caso diventassi un ostacolo tra loro e la meta da raggiungere. Che poi vivendo così saranno felici mai?  Ad esempio come me quando ascolto musica e la mamma o il papà mi abbracciano fortissimo?
 Scusa se insisto sull’ambiente ma mi piace poco  tutto quello che sta capitando alla mia terra, alla mia regione. Da anni sommersa da “spazzatura” che per quel che ho capito io (ti ricordo che sono solo un bambino) è formata da sostanze che avvelenano tutto. Da quello che mangio a quello che respiro. E mi chiedo: se lo sapevano anche i muri del mio asilo, perché sono stati tutti zitti per tanti anni? E poi dicono a noi piccoli di dire sempre la verità; con questi esempi mah…
Insomma per quel che mi riguarda, mi piacerebbe avere un mondo più a misura di bambino. Ho fatto qualche esempio ma spero di essere stato chiaro. Un mondo che parli una lingua molto più comprensibile per me e che si facesse in quattro, ma sul serio, per preservare l’ambiente e la nostra meravigliosa Terra. Dove le chiacchiere sono ridotte a zero. E conta la sostanza, la concretezza. Che sia di nuovo bello, pulito, luminoso. Senza veleni.
Dove  poter crescere e a nostra volta divenire uomini integri. Dicono si impari ad esserlo da bambini.
E soprattutto bisognerebbe che ci arrivassimo a diventare grandi. Capito?
Secondo te,  chiedo un po’ troppo nella letterina di Natale e dovrei provare con chi fa i miracoli?
Ma lui ci ascolta ancora? Non sarà un po’ stufo di noi?
Buon Natale Babbo, ti voglio tanto bene.
Federico S.

La lettera la trovate anche su: Diario di Adamo

Vi abbraccio e vi auguro delle giornate di festa serene e calorose.
                                  

                                                           BUON NATALE 









14 dicembre 2013

Intanto il tempo passa.








Alda Merini - immagine presa dal web


Ieri sera ho riletto ancora una volta una piccola, meravigliosa poesia.
La lascio a voi, pronta a catturarvi.
A volte torno a risentire il bisogno assoluto di parole intense.


"SCRIVIMI , TE L'HO DETTO TANTE VOLTE, SCRIVIMI UNA LETTERA LUNGHISSIMA CHE PARLI SOLAMENTE DI SILENZIO".

(Alda Merini)




09 dicembre 2013

Un incontro lungo un giorno.





Non userò molte parole. Non sarò prolissa e mielosa. Saranno le foto che lascio a ringraziarvi.
Per il giorno speciale, per il tempo trascorso insieme. Per le parole scritte in tanti anni che si sono trasformate in vita vera.
In amicizia.

Per gli amici che ci sono stati, per quelli che avrebbero voluto essere presenti.

C'è stato chi ha trascorso più ore in treno per raggiungerci che quelle intorno alla tavola.

C'è stato chi è arrivato per sorridere un po' attorniato da amici che gli vogliono molto bene.

C'è stato chi non ha perso l'occasione per parlare di politica, e se non fosse così non l'ameremmo quanto l'amiamo.


C'è stato chi non ha voluto esserci e invece c'era.

Ci sono stati tutti gli anni passati insieme, sulle pagine dei blog della piattaforma di Vanity Fair.

Discorsi, confronti, risate, allegria e a volte anche delle solenni incazzature.

Ci sta tutto. E' vita. E a volte il virtuale non è poi così lontano da noi.
Ed è bello scoprirlo insieme.

Sono le cose che contano.

Come il nostro amico Matteo Gamba di "Diario di Adamo" ha detto sabato, trasformandosi quasi in una versione maschile di "lattealleginocchiamari":

"SONO COSE CHE SCALDANO IL CUORE, DAVVERO"


VI VOGLIO BENE.


Marco (Dorian), Mari e Veru




Un momento del pranzo 






Stefy e Robbi

Un particolare della tavola
Barbara e Ale

Elisa, Mari e Giada


Raffaele e Elisa



Mary, Marco, Alessandro e Nico




Raffaele, Marco, Mari, Robbi e Veru




Raggio di sole Mary


Da sinistra: Elisa, Claudia, Lucy, Stefy, Nico (Arnika) e Ale sedute, Giada, Raffaele, Matteo, Veru, Marco, Mary&Mari
Il gruppo dei blog di Vanity Fair


Tratta dalla bellissima compilation che Marco/Dorian ha preparato in onore di tutti noi.La canzone che meglio  può riuscire a fotografare la giornata.









Le foto sono state tutte scattate dagli amici dei blog di VF. Le pubblico con il loro permesso.





03 dicembre 2013

Rino Gaetano e il suo cielo sempre più blu.


Rino Gaetano - foto presa dal web


Parlare di Rino Gaetano mi riesce particolarmente difficile. Forse perché ho per lui un rispetto tale che faccio fatica anche solo a scrivere quelle quattro papocchie che azzecco di solito, quando parlo dei miei artisti preferiti.
Lui è al di sopra.
Al di sopra insieme ad un altro di cui forse un giorno vi parlerò, se mi farà meno male.

Partiamo allora con l'operazione amarcord.
Chiaro che non mi interessa citare la sua discografia e le tappe salienti della sua storia musicale.
Invece come faccio spesso partirò da quanto ha influenzato la mia adolescenza.
Riavvolgendo il nastro dei ricordi parto dai miei 12 anni.
Seconda media, poco più di una bambina timida, occhialuta, introversa. Tempo di festival di San Remo. Come ho raccontato spesso nelle mie biografie autorizzate e non, ho sempre guardato il Festivàl della Canzone Italiana. Diciamo che è imprescindibile da me, come Raffaella Carrà e Pippo Baudo. Insieme a Lorella Cuccarini e Heather Parisi. 
Tutto il kitsch che amo di più. Che sia chiaro.
Rino arriva sul palco con una tuba nera, giacca, papillon bianco e maglietta a righe bianche e grigie almeno per me che avevo la televisione in bianco e nero. Sui giornali poi, lessi che erano rosse. Suonava uno strumento che mi stupì: l'ukulele.
E il mio mondo si capovolse.



Abituati ai vari e assurdi archetipi della canzone nazional popolare italiana, questo ragazzo procura una botta allo stomaco a tutti gli spettatori e pur dovendo presentarsi con una canzone che a suo dire "non significa nulla" abbraccia e travolge una marea di persone.
Tanto per la cronaca quell'anno vinse Anna Oxa con "Un'emozione da poco".

Avrebbe voluto portare "Nuntereggae più" ma la casa discografica con cui era sotto contratto si oppose.
A risentirla oggi quanto è attuale no?
Eppure lui disse che era solo uno sfottò e niente altro. Non usava le sue canzoni per fare politica.
Lui. L'elenco dei nomi e cognomi famosi e dei tanti che tolse, tra cui quello di Aldo Moro a causa del suo rapimento che avvenne quasi in contemporanea con l'uscita del disco, ormai è storia.



Io ho cominciato da lì. A capire che la musica per me poteva essere ben altro che riascoltare ballate pop con testi che facevano rima con amore e cuore. Ad allargare gli orizzonti e a provare a cercare divertimento e passione, impegno ed amore, in pari misura.
A comprendere che nella mia vita anche una canzone poteva dare un senso a quello che i miei piccoli neuroni stavano cominciando faticosamente ad apprendere. Niente poteva essere stonato o incerto.
Piccoli passi. Impegno. Scoperta. Misura.
Dopo il successo clamoroso a San Remo, scomparve. Trovavo tracce di lui in qualche spettacolo televisivo e bevevo ogni notizia che potevo raggiungere.
Pubblicò altri due album. E ricevette molto meno consenso di quello che avrebbe meritato.
Soprattutto con l'ultimo album. 
Qualche mese dopo la pubblicazione, in una sera di giugno moriva a poco più di trent'anni in un incidente stradale. Ricordo i titoli dei giornali. Ricordo che si parlò di come ancora vivo era stato rifiutato da diversi ospedali di Roma che non avevano posto. Ricordo le polemiche. I se e i ma. Se si fosse riusciti a salvarlo. Se....Se....
Chissà.
Per intanto anche profetico. Molti anni prima aveva scritto una canzone che si intitola "La ballata di Renzo". Raccontava di un ragazzo che moriva per le mancate cure ricevute dopo un incidente stradale. E che viene rifiutato da molti ospedali. Alcuni sono gli stessi che rifiutarono lui. Io non penso avesse doti divinatorie. Lui scherzava su tutto. Era il suo modo di essere. Ironizzò anche sulla sua morte.
Forse per esorcizzarla chissà. Lasciandoci un'altra domanda senza risposta.




Sono sempre stata dannatamente precisa. Quando mi accusano di questo non posso fare a meno di chinare la testa e dire che è vero. Poichè all'epoca non potevo, essendo troppo piccola, scoprire molto di lui soprattutto per mancanza di fondi, aspettai.
Ed è quello che ho fatto poi. Cercando attraverso il tempo di riscoprirlo.
Io sono intimamente retrò. E non posso fare a meno di notare che l'interesse è rimasto vivo.
Che le sue canzoni sono e restano patrimonio di tutti. Forse con il tempo e se fosse vissuto magari sarebbe rimasto ancorato alla sua epoca e noi lo avremmo dimenticato.
E forse no. La potenza delle sue canzoni ha oltrepassato ere e logiche.
Rimane l'unità di misura con cui io affronto giorno dopo giorno ogni nuova canzone, ogni nuovo artista a cui mi avvicino. Come i Beatles.
Altra mia unità di misura.
Lo so, sono anche pretenziosa.

Ma provateci voi a scrivere una canzone così.













27 novembre 2013

A Milano fa bel tempo.



Welcome to Milano (foto presa dal web)



Oggi a Milano c'è il sole.
Mi prende bene cominciare la giornata così. Nonostante il freddo e l'inverno che incalza, oltre il buio che scende presto.
Mi accorgo di alzarmi con il sorriso sulle labbra.
Come i miei amici di blog sanno, non è un gran bel periodo per me.
Ho frequenti balzi d'umore e basta niente a buttarmi giù per terra.
E se riesco a sorridere appena sveglia, è un gran successo.
Non posso sapere con certezza come starò domani.
Non ci penso.
Intanto mi copro bene, prendo la mia musica, infilo le cuffie nelle orecchie e vado.
Provo ad osservare quello che mi sta intorno.
La strada verso la fermata del bus. Case basse, giardini intorno, cagnoni che restano nelle loro cucce e non mi salutano come al solito, perchè fa troppo freddo.
Alla fermata, le persone che tutte le mattine alla stessa ora prendono il mio stesso pullman.
Siamo assonnati e già raccolti nei pensieri lavorativi. Io cerco di non pensarci e mi faccio avvolgere dalla mia colonna sonora. Il cielo è azzurrissimo cosa molto rara. E appunto per questo meravigliosa.
Lontano e di fronte; le cime delle montagne innevate. Il sole che sorge le illumina. Mi sembra quasi di vivere altrove. Dove tutto è a misura d'uomo e forse un pochino più semplice.
All'interno del mezzo tante persone. A volte è così pieno che restiamo schiacciati uno all'altro per tutto il tempo. Tanti visi, tante età. Tante storie. I ragazzi che scendono prima del capolinea fanno il solito baccano. Ridono, si prendono in giro, parlano delle lezioni o dei loro amici. Anche di musica. Spesso apprendo da loro, sui mezzi, le novità.
Un universo colorato, per via del meltin pot che ormai caratterizza tutte le grandi città.
Anche in metro è lo stesso. Si legge su carta o su ebook. Oppure si gioca con il telefonino. Si scorre lo stato e le novità degli amici su FB.
Arrivo in centro e  l'ultimo pezzo di strada fino al lavoro, lo faccio a piedi.
Da Porta Venezia a Piazza della Repubblica. 
Sempre con la colonna sonora nelle orecchie. E' che diventerò sorda lo so. E anche cecata.
Ma chissenefrega. Se mi tolgono la musica o la lettura mi tolgono l'aria.
Parlarvi delle ore in ufficio è inutile. 
Non le amo, è solo dovere. Faccio il mio lavoro al meglio pretendendo il massimo da me stessa. Non ne parlo mai, vero. Solo perchè non c'è nulla che valga la pena oppure che sia diverso da quello che la maggior parte di noi vive nel suo, di mondo lavorativo.
Vi annoierei.

Tornando a casa ho il tempo lungo la strada, di chiacchierare con mia sorella che mi descrive la sua giornata. Molto più faticosa della mia. Mi parla delle mie pupe, la bionda e la mora, che vivono in perenne movimento. E ne fanno una al minuto più di Bertoldo.
Non si stancano mai, caricate a pile duracell. La sfinita infatti è mia sorella.
Che spera di raggiungere le 10,00 di sera momento in cui le gemelle andranno, volenti o nolenti, a nanna. Permettendo ai genitori di respirare un po'.

Sorrido mentre le parlo. Mi sembra di stare con loro per qualche minuto. La stessa sensazione che ho quando mia cognata registra su whatsapp qualche momento della giornata di mio nipote e me lo manda. Possono essere foto o lui stesso che mi saluta, riempiendomi di baci. E il cuore si allarga.

Sì oggi è stata una buona giornata.
Sole e baci.
Grazie Milano.









E grazie Luciano Ligabue. La nuova canzone è un manifesto d'amore.





23 novembre 2013

Gabriele Romagnoli:Ogni giorno sapersi riconoscere, ogni giorno scegliersi



Gabriele Romagnoli - immagine presa dal web

Gabriele Romagnoli  è un grande giornalista. Non solo.
Uno scrittore e autore  che fa riflettere grazie alla sua capacità di sapere raccontare in una maniera unica, attraverso parole che sembrano uno scatto di polaroid.
Lo seguo da anni. Sulle pagine del mio settimanale preferito e grazie ai libri che ha pubblicato.
Nella breve parentesi in cui è stato direttore di GQ e per un breve periodo anche sul suo blog.

Fino a pochissimo tempo fa non sapevo che avesse esordito nel 1987 pubblicando un racconto nell'ambito del  progetto "Under 25" ideato da Pier Vittorio Tondelli. Mentre mi avvicinavo al grande scrittore emiliano mi sono resa conto che incredibilmente, c'è un filo invisibile che lega lui a Ligabue e Romagnoli. Del mio amore per il primo conoscete tutto. Della stima per il  secondo sto per parlarvi adesso.Ma è un  ulteriore dimostrazione per me che, niente è per caso.
Leggerlo è familiare, intenso. Mi immergo nel suo mondo, nella sua vita. E' estremamente sincero a volte duro, mai finto. Ha raccontato di sè attraverso i mille luoghi in cui è stato.
New York City, Egitto, Libano per fare alcuni esempi. Ma poichè da sempre ho la fissa per la Grande Mela, è stato naturale per me, apprezzare le dodici puntate o meglio i dodici articoli che scrisse su Vanity Fair nel 2010,  dalla città ombelico del mondo. Dodici articoli per i dodici mesi trascorsi nel posto più bello del mondo. Second me.
Gli articoli avevano un titolo: Il mondo in una strada. Strada che poi è stata un punto cardinale da raggiungere una volta che ci sono arrivata ed ero finalmente, esattamente, nel luogo dove avrei voluto nascere. La città dei miei sogni.

E così, partendo da Fulton Street in Lower Manhattan, che chissà perché mi ha ricordato Fellini e la magia dei suoi film affreschi di quel tempo, ha narrato delle persone che lo hanno attraversato e di tutto un universo incredibile di personaggi che pur reali, ha saputo avvolgere con un'aurea surreale.

Dall'angelo di Victoria's Secret soprannominata "Wannabe" incontrata sulle scale di casa, al giorno in cui tra colazione, pranzo e cena ha mangiato con un rabbino, un iman e un prete. Lui che credeva fosse possibile solo a Gerusalemme si è reso conto che no, NYC è anche questo. Anzi Fulton Street, sulla coda di Manhattan, è anche questo.

Come la storia dei tre fratelli equadoregni arrivati nel 1985, entrati in un negozio e mai più usciti. Arrivati come clandestini e divenuti sciuscià. Immagini da cinema neorealista italiano, che si sovrappongono quasi in automatico alla storia. Bianco e nero e titoli di coda.
Ha celebrato lo "spirito dell'umanità"ascoltando gli "StoryCorps".  Gente che gira l'America raccogliendo storie. E lo fanno in camper, cabine telefoniche e addirittura scatole.Niente di più giusto per uno come lui.
Avanti storia dopo storia, fino all'ultima. Quella in cui ci parla di una strada Fulton,  che sembra ogni volta morire e rinascere. Una serranda dopo l'altra che si abbassa, definitivamente. I caffè come quello in cui aveva fatto colazione con il rabbino che è stato tra i primi a chiudere. Luoghi aperti per anni che lasciano il posto al nuovo.
Solo pop up store però. Negozi che oggi ci sono e domani beh, domani ci sarà qualcosa d'altro.
La strada come la città è un fiume che si svuota e si riempie. Diversa ogni volta eppure sempre uguale. Cercando di resistere fino a che ci sarà qualcuno che vorrà costruire qualcosa partendo da lì.
La tristezza di un ciclo che si chiude mi fece desiderare di conoscerla. Del resto l'avevo vissuta puntata dopo puntata grazie a lui, per un anno intero. Disse che non aveva più storie da raccontare da quel posto. Eppure.
Io non ci ho creduto e sono andata a ficcare il naso. Due volte.


Fulton Street all'angolo ( foto MS)

Fulton Street nel 2011 ( foto MS)


Dopo gli articoli e tra gli articoli che continuo a leggere come un'assetata ad una fonte sempre fresca, ho continuato a conoscerlo attraverso i suoi romanzi. Ne ho letti due.
Domanda di Grazia e L'Artista.

Il primo racconta una storia di cronaca italiana. Coinvolto un suo vecchio amico. Nonostante l'amicizia, non cerca compromessi o giustificazioni da dare. In realtà ci parla di giustizia e di come le carceri in realtà siano delle dure scatole senza senso. Forse.

Il secondo è una storia che lo riguarda da molto vicino. Partendo da Bologna, città natale. E dai personaggi tutti simili ai suoi familiari.Ho amato il modo in cui parla del padre del protagonista. Attraverso quaranta e passa anni di vita, dall'Italia della seconda guerra mondiale agli anni '80,lui ci racconta anche come è nata la storia. E come, dopo un po' che scrive, si stanchi dei personaggi che crea tanto da volerli uccidere. Combatte per tutto il tempo della stesura del romanzo questa tentazione. Ora mi diverte pensare che, ad ogni passo avanti che faccio nelle sue storie magari nel punto esatto in cui mi sono soffermata, sia stato spinto dall'impulso costante di terminarle con un finale crudele. Eppure trova sempre un escamotage per continuare. L'espediente che utilizza ne L'Artista è  di rendere i personaggi  simili in parte ai componenti della sua famiglia e questo  gli consente di tenerli in vita.

Il titolo del mio post nasce da un momento cruciale della storia. Il padre lo dedica al figlio. Essere padri e figli in realtà non sarebbe nulla di speciale, ci vuole qualcosa in più. Bisogna come in ogni rapporto d'amore, riconoscersi ogni giorno. E scegliersi ogni giorno.
Mi piace, lo condivido.
Non sono genitore però sono figlia e non smetterò mai di esserlo. Dall'altra parte della barricata ci si rende conto che i nostri anni sono stati scanditi da ere. La prima è stata l'infanzia e allora tutto era perfetto, soprattutto loro ai nostri occhi. La seconda è stata l'adolescenza, era di rifiuto e di lotta. Niente andava bene, nulla era come volevamo. La terza è stata quella della lontananza.Eravamo giovani dovevamo cavarcela da soli. E' servita a trovare il nostro mondo e a riscoprirli poco a poco. La quarta la maturità detta anche l'età dell'oro, è quella che la maggior parte di noi sta vivendo ora. Siamo tornati ad amarli con tutti i loro difetti, esattamente come da sempre fanno loro con noi. E ogni volta, in ogni situazione, ci siamo scelti. In guerra e in pace.
E poi se ci riflettete bene, mica vale solo per il rapporto genitori-figli non sembra anche a voi?

Resta che tutto questo è davvero speciale.

Come lui. Che riesce con le sue parole a rendere straordinario, l'ordinario.

In occasione di BookCity 2013 Gabriele Romagnoli sarà a Milano.
Lascio il link con la data dell'incontro. 

Storie di ordinaria malagiustizia


Io sarò in giro saltando da un posto all'altro come un grillo. Per il 2013 la manifestazione si presenta ricchissima di incontri. 
E' solo il secondo anno. Chissà cosa ci riserverà il futuro.






















18 novembre 2013

Solo risate please!



Immagine dal web

Stavo per scrivere un post terribile, pieno di tristezza e di considerazioni funeree. Insomma una roba che rispecchia in bella parte il mio guardarmi allo specchio degli ultimi giorni.
Poi è arrivato un vecchio amico di blog che ha sentito puzza di leggera "depresscion" nell'aria e a modo suo mi ha ribaltata intera intera. Non pensate a male, non ci conosciamo che virtualmente!

Aggredendomi con la sua scrittura ironica  e una dialettica perfetta, ha provato a fare uscire "da questo corpo" la malinconia e a sostituirla con un pochetto di rabbia che è sempre utile allo scopo.
Ora mi sento meglio. sarebbe bello se i problemi sparissero con la stessa semplicità. Ma credo e sono estremamente convinta di una cosa. Ovvero che gli amici, quelli di vita e anche quelli di blog quando la frequentazione è di anni e si è avuto modo e tempo per raccontarsi molto reciprocamente, possano comportarsi così.
Che ci diano degli scossoni e ci colpiscano quando ci vedono tentennare, quando sentono che stiamo per cadere e che è il momento giusto di una bella strigliata. Un bel passaggio nella corrente elettrica a 200 wolt.
Non è che sempre ci faccia bene la mano sulla spalla.
O chi annuisce e non trova le parole. O chi aspetta il momento per parlarci e poi non lo trova mai.
E' vero. Dipende pure da noi.
E magari c'è la volta in cui l'attenzione delicata può fare bene.
O lasciarci addosso una tristezza indefinibile che ci abbatte di più.
Mentre la sferzata, ben ponderata, ci raggiunge molto più profondamente e ci costringe a reagire.
In un modo o nell'altro la reazione ci porta a riconsiderare il momento no. E a decidere se davvero valga la pena di procedere in modalità stand by. E se invece fosse quello adatto per farsi due risate con le quali superare l'attacco di "noncelafacciopiùinquestomondodiemme"?

Voi che ne pensate? 

Io intanto scrivo almeno dieci volte perché con l'accento giusto. Tanto per non essere più accusata di pigrizia.

Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché
Perché

Poi vi lascio con un pezzetto di Totò Monaco di Monza. Adoro questo film. Conosco le battute a memoria. E rido ogni volta che lo rivedo.
Quando il genio è immortale.







13 novembre 2013

La luce e l'onda.


Immagine presa dal web



La piccola testa bionda sembra cercare qualcosa tra i sassolini e i ciottoli  piatti lungo la riva.
In mano un rametto con il bordo appuntito. Lo ha lavorato da solo durante la notte di nascosto dal babbo. Senza fare rumore, lo ha tagliato e con il coltellino svizzero lo ha rifinito fino ad ottenere una punta simile a quella delle frecce.
La mattina è arrivata troppo presto e lui non aveva dormito per nulla. Era rimasto sveglio dopo avere finito il lavoro.  Guardava il vento leggero spostare il pizzo delle tende alla sua finestra. Ad ogni tiro di brezza riusciva ad intravedere la luna piena. Era grande e sembrava sempre più vicina. Dove saranno i crateri e i mari raccontati così bene dagli astronauti? Quelli tornati dopo avere lasciato l'impronta su quel terreno lontano, fatto di polvere bianca e misteriosa. Non riesce a vederli nonostante si sia stropicciato gli occhi a lungo. 
Fa colazione con il pane fresco e il latte appena munto. E poi scappa via facendosi inseguire da Attila che gli abbaia contro tutta la rabbia che ha, perchè questa volta non lo porterà con sè.
Raggiunge la banda. Gianni, Maurizio, Oscar e Matteo. Hanno tutti la medesima età e sono pronti. Dieci anni e stecchini al posto delle gambe. Graffi e lividi ovunque. Le magliette a righe stinte dai troppi lavaggi e dal sole preso mentre asciugano all'aperto. Un taglio dei capelli violento quasi a zero. Colpa dei pidocchi che a fine primavera sono piombati addosso a loro come una calamità biblica.
Un cenno della testa e un ringhio come risposta. Si allontanano. Ognuno di loro ha tra le mani un rametto uguale al suo e un secchio rubato alla famiglia; di quelli che servono a raccogliere il latte dalle loro mucche.
L'aria della mattina è ancora fresca in quell'inizio di giugno.
Attraversano il bosco fatto di salici leggeri che con le loro lunghe fronde, si abbassano fino ad inchinarsi verso il letto del fiume che si intravede ai loro piedi. Tra di loro è un susseguirsi di bisbigli e poi di frasi che man mano si acutiscono. Poi diventano risate e alla vista del fiume e del suo luccichio si trasformano in urla stridule.
Ci sono. Eccoli soli, lì davanti. Il letto del fiume e loro. Che impresa è stata raggiungerlo. Hanno eluso la sorveglianza dei grandi e sono fuggiti. E' la loro prima volta. Lasciano tutto sulla riva. Una corsa a chi si immerge per primo. Le magliette ed i calzoni estivi, alcuni stretti e corti perchè dell'estate passata, vengono abbandonati senza alcun riguardo. I rami appuntiti stretti nelle loro mani. I secchi che restano sulla riva.
Passano alcuni minuti, il tempo di riprendersi dalla sferzata che li ha percorsi dopo essersi buttati nell'acqua gelida. Chi spavaldo, chi più timoroso, ora sono dentro. E ci sono ancora risate e corse in acqua e scherzi. Poi ecco, un balenio d'argento. Alcuni lucci si intravedono. Nonostante l'acqua quasi ribolla per la loro presenza e per il frastuono, si sono avvicinati. Il corpo lungo e affusolato dei più grandi, riflette in contemporanea la luce del sole e lo specchio d'acqua.
Fanno silenzio all'improvviso.
Si dispongono a cerchio come il vecchio Pietro ha loro raccomandato. Al segnale di Gianni, il loro capo, ognuno con il suo ramo, si buttano su quelli che meno timorosi si sono avvicinati.
E' una zuffa in piena regola. Cascano tutti dentro contemporaneamente e con gran rumore. Si ostacolano tra di loro e ben presto non vedono più alcun pesce. Ritirano tutti il ramo e tornano a fatica in posizione eretta.
All'improvviso lo guardano tutti, immobili. Attaccato al suo ramo un luccio ben grosso si dibatte con tutta la forza che gli resta. Gianni gli fa cenno di uscire. E come in processione avanza con  tutti gli altri dietro.
Raggiunge il suo secchio e lo butta all'interno. Lascia un po' d'acqua e poi si gira verso gli altri.
E' ancora stupito si guarda attorno. La piccola testa bionda illuminata dalla luce del sole e dalla leggerissima onda del fiume.



(Mariella S.)

Questo racconto l'ho scritto di getto durante la notte. Lo dedico ad un caro amico di blog che è lontano ma è nel mio cuore. Ciao Vincenzo.

11 novembre 2013

Del perchè per me Massimo Moratti resterà per sempre il Presidente


Madrid 22 maggio 2010 - tracce nella storia





Inizierò dalla fine.


Sabato sera allo stadio Giuseppe Meazza, volgarmente detto San Siro, si è celebrata l'ultima partita dell'era Moratti. Giocavamo in casa: Inter - Livorno finita 2 a 0 per noi. Non è stata una grande partita, sembrava giocassimo con il freno a mano tirato.Per un bel pezzo del secondo tempo mi è sembrato che il Livorno potesse acchiapparci con facilità. Insomma Inter, quella per la quale il cuore va sempre a mille durante una partita e non si è mai tranquilli, niente è scontato con l'abitudine che abbiamo ad ogni partita di ribaltarla in un momento. Dal vincerla al perderla, come di consueto. L'emozione più grande per me è stato il rientro in campo di Capitan Zanetti, dopo l'ennesimo infortunio da cui si è ripreso ad una velocità incredibile. Un quarantenne con l'animo e il fisico di un trentenne. Stupur Mundi. Era senza la sua  fascia di capitano ceduta  a Cambiasso,  formidabile suo sostituto. Ogni maledetta volta che guardo negli occhi di Javier ci vedo la suprema emozione e l'infinito orgoglio di essere parte di questa squadra. Mi riscalda il cuore e mi consente di continuare a sperare. Mi consente di crederci sempre. Nella mia pazza, pazza squadra.
Sono venticinque anni. E ve ne ho parlato altre volte ad esempio parlando di Zanetti.
Ma vorrei fare un piccolissimo accenno agli ultimi 18. Sugli spalti della curva nord,la nostra curva, è apparso uno striscione che diceva:

 "Le gioie più grandi, le sofferenze più imbarazzanti, 18 anni di gestione racchiusi in quelle 12 domande. Spesso l'abbiamo attaccata anche se mai l'abbiamo abbandonata. Nonostante tutto qualcosa ci accomuna, l'amore per l'Inter innegabile. L'essere troppo tifoso a volte è deleterio, ora attendiamo curiosi ma intanto grazie di tutto presidente, se lo merita. In fondo le abbiamo voluto bene".


Le parole dei tifosi sono anche le mie. Innegabili i suoi errori, gli sbandamenti, i suoi arrocamenti. Il suo puntiglio e la sua passione per alcuni giocatori che, a dire il vero sarebbe stato molto meglio lasciare andare.


Ma di sicuro sono fondamentali per me altri numeri.
Questi.


In diciotto anni di presidenza ovvero dal 25 febbraio 1995 è stato il presidente dell' Inter che ha vinto di più.


5 campionati
4 coppe Italia
4 supercoppe italiane
1 champions league
1 coppa Uefa
1 coppa del mondo per club

E oltre ai numeri la certezza che lui sia sempre stato più tifoso che presidente.
Ha sofferto, si è incazzato, ha riso e si è emozionato per la sua squadra come ognuno di noi.
E per me è quello che conta.
Le volte che sono andata allo stadio sia quando facevamo goal che quando lo subivamo guardavo in alto verso il suo posto. Ed era lì felice o arrabbiato, come me giù in basso. Uguale. 
Non sono cose che potrò dimenticare.
E non lo farò.


Grazie Presidente.