29 marzo 2016

I LIBRI DI MARZO.



UNA NUOVA VITA





Autore: Roger Rosenblatt
Titolo: Una nuova vita
Titolo originale: Making Toast
Edizioni: Nutrimenti
Traduzione: Nicola Manuppelli
Pagine: 121
Prezzo: 15 euro




"Per Amy la vita non si misurava mai in ciò che le mancava."






Ritengo che per leggere un libro come questo, bisogna di sicuro trovare il momento adatto. Una condizione di serenità che ci predisponga alla lettura di una storia particolarmente difficile. Lo scorso anno mi era successo leggendo il romanzo di Maylis de Kerangal - Riparare i viventiPortando avanti la lettura, davanti al racconto che arrivava ad una scelta finale dura, devastante eppure illuminata, piano piano la serenità aveva preso il sopravvento sull'amarezza. Resta uno dei migliori romanzi che io abbia letto negli ultimi anni. 
Nel romanzo di Roger Rosenblatt, celebre giornalista americano, penna di punta di New York Times, Time, Washington Post, e poi successivamente scrittore, ho scoperto quanta serenità si possa  e si deve raccogliere dopo una tragedia, nel momento in cui bisogna ricominciare daccapo e ricostruire, la propria vita e soprattutto quella di chi ci sta attorno. E' vissuto. La morte della figlia Amy, impone a lui e alla moglie Ginny, il mettere da parte il dolore e far fronte all'emergenza: aiutare il genero Harris a crescere i tre figli che all'improvviso si trovano senza la propria madre.Il racconto di questo nuovo inizio è semplice. Un quotidiano affrontato con compostezza, senza rigurgiti di dolore, con serenità e consapevolezza. Il dramma lo si affronta guardando avanti, pensando a quello che è la cosa migliore: la serenità di tre bambini che dovranno affrontare tutta la loro vita senza il punto focale, il centro del loro mondo: la madre.Allo stesso tempo, l'autore ci fa ben scorgere il dolore nei gesti, nelle poche parole scambiate con la moglie e il marito della figlia. Vediamo tutto, sentiamo tutto, ma senza farci travolgere dal dolore. Un libro accurato e immediato, nonostante tutto molto sereno. Un libro sentito, mostrato senza sentimentalismi vacui e senza cedimenti. Quasi senza cedimenti. Una bellissima dimostrazione di come essere genitori è complicato. Sempre. Ma essere genitori è anche superare lo stadio del dolore,per amore dei propri figli. Al di là di una panchina dedicata ad una madre che continuerà a vivere nello sguardo e nel cuore dei propri bimbi. Ed è per quello che si continuerà a lottare. Un vero inno alla vita, nonostante tutto.


"Mentre Ligaya e Ginny si occupano di Bubbies e Sammy, accompagno Jessie alla fermata dello scuolabus. È una mattina grigia e umida e siamo fermi, uno accanto all'altra, a un angolo della strada di casa. In rapida sequenza, giù dalla collina ecco arrivare le mamme del quartiere, con i bambini che corrono accanto a loro. Si improvvisa una partita di calcio e Jessie si unisce agli altri. La scena può sembrare piacevole e normale, a meno che non si noti la strana presenza di quel nonno solitario. Con un po' di fortuna, io e Ginny vivremo abbastanza da vedere tutti e tre i bambini farsi adulti, e Jessie diventare un'adolescente, fra i capricci per i ragazzi, pestare i piedi e urlarci che non capiamo nulla, niente. Ma oggi l'aiuto a caricarsi l'enorme zainetto rosa e il piccolo ombrello con le farfalle rosa, prima di vederla salire a bordo. Rimango immobile a fissare lo scuolabus che si allontana, poi auguro alle madri una buona giornata."




LA STORIA DI MORTIMER GRIFFIN.





Autore: Mordecai Richler
Titolo: La storia di Mortimer Griffin
Titolo originale: Cocksure
Edizioni: Adelphi
Traduzione: Giovanni Ferrari degli Uberti
Pagine: 242
Prezzo: 18,00 euro


" Ho visto ragazze più giovani di queste reggere l'assalto un numero più grande di robusti cazzi: il coraggio e la pazienza fanno superare anche i maggiori ostacoli che la vita ci mette davanti..."




Ho sprecato una settimana del mio tempo, per leggere un romanzo dell'osannato (troppo) autore canadese Mordecai Richler, celebrato oltremodo per la "Versione di Barney".
Mi sono detta che, partita da questo romanzo, avrei compreso se valeva o meno la pena di leggere altro di lui, compreso il suo capolavoro.
Un libro che valica ben presto il confine della scabrosità letterale, diventando, molto semplicemente, volgare. Altri vi parleranno di grandiosa satira, di lucentezza, di ironia, di genialità. Io vi dico di lasciar stare. Non perdete tempo. Leggete altro.

"Chissà, pensò Mortimer, se la nostra vita sessuale è conformista forse non è tutta colpa mia. Forse Joyce ha la sua parte di responsabilità. Non era successo nemmeno una volta che, travolta dalla passione, gli mordesse un orecchio fino a farlo sanguinare. O che gli gridasse: <Sì,sì, scopami mandrillo!>. Perché? Forse lui la inibiva? Avrebbe fatto licenziose sollecitazioni di questo tipo ad altri partner? Mortimer non lo sapeva. Una volta, un'unica volta, ispirato da un romanzo che aveva appena finito di leggere subito prima che si mettessero a letto, aveva menato una gran botta sul fondoschiena di Joyce mentre erano allacciati nella più banale delle posizioni dell'amore. Se ne stavano così, ricordava, lui pensando alle incursioni di Gordie Howe, lei pensando a dio sa che cosa,quando Mortimer si sollevò di scatto e le assestò una manata sulle natiche, ma invece di scatenare le voglie animali di Joyce l'aveva fatta piangere. Joyce pianse e pianse, scansandolo con violenza e affibbiandogli non tonificanti epiteti osceni, ma fredde qualificazioni cliniche. Stronza."



21 marzo 2016

VITA.










Attimi, 
immobili silenziosi scalini.
Leggeri come il sorriso trasparente di una mamma che abbraccia.
Pesanti, come il fiato di un ricordo che colpisce nel profondo.

Solitudine.
Inutile come lo sguardo posato nel vuoto.
Piena come il calore che irradia una certezza inevitabile.

Sostanza.
Chiara, luminosa come un campo di girasoli che flessuosi sostengono il sole.
Vera, alba lucente che riempie con un getto continuo.

Impegno.
Luce universale, sapienza irradiante quotidiana.
Forza, mistica miscellanea di valori imprescindibili.

Mi lascio cullare da lettere che formano l'intero mio mondo.


(@Mariellaesseci - tutti i diritti riservati)

20 marzo 2016

Papà.


Ieri era la tua festa.
Non amo scrivere di feste e festeggiamenti sul mio blog.
Per cui, sarò breve anche adesso.





Ti stringo la mano, forte eh, forte.
Non la lascio come non la lasciavo da bambina.
Non te la lascio adesso perché adesso più che mai c'è bisogno.
Sono lontana eppur vicina.
Si sta lottando insieme, in questi giorni duri.
Per proteggere, per riparare, per curare, un'anima cara.
Che soffre, che lotta, che risolleva la testa ogni tanto, ma è tanto stanca.
E tu, sei lì. Con le spalle fiaccate, dalla stessa cura che abbatte, che colpisce.
La cura.
Ogni giorno, un passo avanti.
Ogni giorno, le carezziamo la guancia, le teniamo forte il viso, le attutiamo i colpi.
Ogni giorno, ci siamo.
Tu un po' di più.
Tu papà.
Grazie.

(@Mariellaesseci - tutti i diritti riservati)



16 marzo 2016

Quello che mi piace e non mi piace di questo inizio 2016.



Come i migliori ladri che si rispettino, torno sul luogo del delitto.
Ci ho preso gusto a considerare gli eventi degli ultimi tempi e a trarne delle conclusioni.


Non mi piace che il decreto Cirinnà sia stato stravolto per passare al Senato. Subendo il ricatto di una debole fronda che riesce a tenere per le palle un governo che, come quelli passati, non si decide a sdoganarsi dall'ingerenza della chiesa cattolica. Certo gli fa comodo.
Allo stesso tempo non mi piace il "doversi accontentare perché è già un piccolo passo e il resto lo farà la magistratura".
Non mi piace la rassegnazione che colgo nei discorsi dei miei amici, secondo me, ed è una critica che ho mosso a loro, non stanno facendo abbastanza per affermare i loro diritti. Gli stessi che ho io.


Non mi piace che si allunghi la lista  degli italiani rapiti e uccisi all'estero. Che come al solito, non si DEBBA conoscere il perché, cosa ha fatto il nostro governo (nulla) per riportarli sani e salvi a casa.
E se almeno ci ha provato...
Non mi piace il dolore e la rabbia che colgo nelle parole e negli sguardi dei familiari e il dover sentire le solite parole sull'assenza, sulla negligenza e sull'abbandono da parte dello stato.

Non mi piace il "solito" Salvini. Ma mi piace da morire non perdere l'occasione per dargli addosso sul mio blog. Prima o poi faccio un post intero tutto dedicato a lui!

Non mi piace che due ragazzi decidano di punto in bianco di ammazzare un loro coetaneo per il gusto di capire cosa si prova. 
E che poi provino a giustificare l'orrendo delitto con un astio immotivato nei confronti dei padri. Direi di smetterla di giustificare la propria bruttura riconducendola al vissuto e alla famiglia. Siete vermi, assassini, sostenete da soli il peso dello squallore.
Trovo terrificante, il disprezzo assoluto nei confronti della vita e la mancanza totale di principi. E ancor di più NON MI PIACE che i genitori di chi ha ucciso, perdano tempo e parole a sprecarsi in giustificazioni, ad apparire in televisione, a pronunciare proclami a destra e a manca. Quando l'unica cosa giusta, per rispetto nei confronti di chi è morto, sarebbe il silenzio.


Mi piace avere trovato più tempo per me.
Riservandomi pomeriggi e serate nel piacevole ascolto di Mariella, che legge un libro, ascolta musica, pensa.

Mi piace che si avvicini una nuova primavera; certo non abbiamo avuto un inverno tradizionale ma sono speranzosa per il prossimo futuro.

Mi piace che si avvicini il mio compleanno. Mi piace la data, mi piace il rotondo e dieci anni fa non avrei potuto nemmeno immaginare che l'avrei presa così bene.

Mi piace che ci siano ancora dei ragazzi pronti a mettere in discussione la civiltà
tecnologica che ci sta ammazzando a favore di una vita lontana da tutto a contatto con la natura.  E vorrei avere il loro coraggio.

Mi piace la nuova iniziativa del comune di Milano. Che riscopre l'arte del baratto in campo amministrativo. Mi  piace che si possa utilizzare  per saldare dei debiti lavorando. Voi cosa ne pensate?


Mi piace che ci siano dei mi piace. Ho spesso la folle paura di vederli diminuire drasticamente.

Ce la siamo cavata ancora, per questa volta.


11 marzo 2016

Sincerità e bugie. Un post lungo.

Su di un'altra piattaforma  ho discusso assieme ad altri amici blogger, sull'utilità o meno della sincerità a tutti i costi.
Su quanto, spesso e volentieri, in ambito lavorativo o in ambito personale, siamo costretti ad avere e a mantenere un profilo basso per convenienza o per necessità. E a tenerci dentro tutta la verità che altrimenti verrebbe fuori.
Sul lavoro capita di  fare buon viso a cattivo gioco.
Nonostante (nel mio caso) la mia espressione riveli fin troppo, cosa penso veramente.
Le parole che vorrei dire mi si bloccano sulla punta della lingua quando, ragionandoci un pelino, mi rendo conto che non farebbe bene né a me né agli altri, dire tutto, ma proprio tutto, quello che penso.
E mi trovo, A VOLTE, costretta a tacere.
Non sempre eh, ci sono stati e conoscendomi ci saranno, momenti in cui non sono riuscita a frenarmi.
Perché più che convinta delle mie ragioni, perché era troppo grossa quella pietra che volevano mandassi giù.
Il non essermi trattenuta mi ha dato a volte vantaggi e a volte disagi.
Ma non me ne sono mai pentita.
Nella vita personale invece il registro è diverso.
Solitamente non esito a dire quello che penso. 
Una volta ero più diplomatica nel dubbio che le mie parole potessero essere fraintese.
Ora, se mi chiedono un parere oppure se c'è qualcosa nel comportamento o in una situazione che mi sfiora che non va, di solito vado giù piatta. La mia non è la verità assoluta ma è quello che penso e mi sento in dovere di esprimere dubbi e perplessità e se sono o meno d'accordo.
Me ne assumo la responsabilità.

Poi ci sono casi limite.
Situazioni e occasioni che in cui ci troviamo che non sono semplici. Verità che farebbero troppo male. Che si tratti di problemi di cuore o di salute.
Il bivio. Sarà capitato a tutti voi.
Il momento in cui ci rendiamo conto che non possiamo, non dobbiamo superare il limite.
Perché faremmo troppo male, perché è meglio una piccola bugia che la cruda realtà.
Perché non è il momento giusto.
Ad esempio.
Mi ricordo di quella volta che venni a sapere che il ragazzo di una mia amica la tradiva.
Eravamo spesso insieme e non riuscivo ad essere naturale  né con lei né con lui. Ma come fare a dirle una cosa del genere senza rischiare di farla soffrire e allo stesso tempo correre il rischio di perdere pure la sua amicizia?
Non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione alla notizia.
Ed io stessa che mi prendevo la briga di aprirle gli occhi alla fine non sarei apparsa come una che in nome dell'amicizia distruggeva la sua vita?
Non sarebbe stato meglio farmi gli affari miei?
Poi una sera mi trovai a tu per tu con lui e non riuscii a trattenermi. Gli dissi che sapevo di una sua sbandata con una conoscenza comune (bella roba) e gli chiesi cosa aveva intenzione di fare con la sua ragazza. Che pur combattuta, avevo intenzione di parlarne con la mia amica e che sarebbe stato meglio se avesse affrontato lui per primo il problema. Da uomo.
Lui mi disse che lei sapeva. Che la situazione stava causando a tutti e due molta sofferenza ma allo stesso tempo, con dolore e fatica stavano tentando di andare avanti. Di dargli del tempo. Non mentì, non pianse, non si dichiarò un vigliacco. Non accampò scuse ridicole.
Il danno era  fatto. Magari pensarci prima eh.
Ma da quella sera fu lei a staccarsi da me. Di sicuro lui le disse della nostra conversazione. E penso che lei non abbia preso bene il semplice fatto che io sapessi. Che ne avessi parlato o meno con lei non aveva importanza. Non riuscii a chiarire, proprio con lei. Mi allontanava, evitava di trovarsi  sola con me. Ci vedemmo sempre meno.
Io sapevo e questo le creava disagio. Le rendeva insopportabile la mia presenza.
E l'amicizia finì.

E' comprensibile come ognuno di noi reagisca al suo dolore in maniera diversa. E che a volte anche la condivisione con gli amici può diventare insostenibile soprattutto se non si riescono  a giustificare le nostre debolezze.O il nostro trascinarci in una situazione perché non abbiamo il coraggio di porvi fine. Almeno è quello che supponiamo pensi la gente dall'esterno. Noi percepiamo il fallimento, le umiliazioni  e   ci sembra di scorgerle anche negli occhi degli altri. Per cui non tolleriamo il giudizio altrui. Spesso è una percezione alterata della realtà. Ma rifuggiamo il confronto. Preferiamo nasconderci, evitarlo.

Non chiedetemi com'è andata a finire. Non ve lo dirò.
Io però ho imparato che in alcune situazioni è meglio, molto meglio tacere. Se si è assolutamente consapevoli che la verità potrebbe fare male, molto male.
E risponderei: sì, io preferisco il peso di una piccola bugia.













06 marzo 2016

The Legend of Tarzan - questo è un post di puro svacco.



Alexander Skarsgard




Ce la faccio. No dico,ce la faccio tranquillamente ad aspettare l'uscita del nuovo film  su Tarzan, previsto per l'estate prossima.
Un'epopea piena di effetti speciali dedicata alla leggenda dell'uomo della giungla.
L'ennesima trasposizione cinematografica dell'eroe creato da Edgar Rice Burroughs.
Negli anni, fin dal secolo scorso, ha fatto la fortuna di attori modesti e non. Dal più famoso Johnny Weissmuller a Lex Barker, fino all'Immortale Christopher Lambert.
E ora la palla passa a Alexander Skarsgard, attore svedese, figlio d'arte. Suo padre è l'attore feticcio di quasi tutti i film di Lars Von Trier.
Ma lasciatemi dire, soprattutto a chi non lo conosce, che Alex farà il botto.
So quello che dico, visto che per lui mi sono sorbita quasi tutte le stagioni di True Blood.
Sopportando con stoicità, l'insulsa Anna Paquin (Sookie) e il suo compagno vampiro dei miei stivali, Stephen Moyer (Bill).
Tutto solo per lui, Alex, alias Eric. Il vero pilastro del serial tv americano.
Tutto sangue e torso nudo. Talmente anemico nel film, che più volte durante le puntate, mi sono chiesta se ce la poteva fare a sopravvivere. Disposta a dare pure il mio sangue per una più che giusta causa.




I protagonisti di True Blood: Anna Paquin, Stephen Moyer, Alexander Skarsgard



                                          Le immagini che sto postando penso siano eloquenti.



In primo piano: Alex Skarsgard



Bando ai sofismi, diciamo che un post così impegnato, culturalmente e cinematograficamente parlando, credo di non averlo mai scritto.
C'è sempre una prima volta.
Evviva Tarzan, evviva Alex.
Data di uscita del film in Italia: 14 luglio 2016.





Alexander Skarsgard e Margot Robbie: Tarzan e Jane


                                                               Sì, ce la posso fare.




























01 marzo 2016

RICORDATI DI NON RICORDARE.


Sì i ricordi.


Non parlo di  scavare nel nostro animo per cercare di pescare il ricordo d'infanzia, il raggio di sole che ci brucia sul filo del passato recente, il sorriso che ci manca ogni giorno (chiaro, quest'ultimo ci viene facile). Almeno non solo. 
Potrebbe essere, molto più semplicemente, l'ultima fetta di torta di mele che abbiamo mangiato da soli spaparanzati sul nostro divano.
La coccola appena fatta al nostro cane.
Insomma, non è che dobbiamo sfrantumarci il cervello per la fotografia più bella, per la serata indimenticabile. Troppo.
Io vorrei parlare del peso che a volte a causa loro sopportiamo.
A causa loro e della memoria.
La memoria del resto, ha questa "simpatica" particolarità:
ci becca all'improvviso quando meno ce lo aspettiamo.
Noi siamo lì beati, col cervello in pappa, seduti (per fortuna) in metropolitana, sfiancati dalla giornata di merda che abbiamo appena lasciato alle nostre spalle e non vorremmo pensare proprio a niente, nulla, nada.
Cervello in corto si chiama. Meraviglioso diritto all'oblio, fantastica catalessi.
E poi vediamo un gesto, come può essere ad esempio il passaggio di una mano tra i capelli.
Lo colleghiamo ad un altro gesto simile, noto e amato.
Ed è tutto un ritornare, lo spazio e il tempo si dilatano, ci inghiottono.
E ci ritroviamo sorridenti come ebeti o tristi,  incuranti della gente, della puzza, della stanchezza.
Ci vediamo, un mese prima, una settimana prima, ieri.
Seduti ad un tavolino di un bar, una tazzina di caffè al lato e una brioche zuccherosa dall'altra parte.
Un mano passata tra i capelli, per tenere in sospeso un concetto da finire, una pausa. O per un pensiero da cercare. Un istante piccolo.Che all'improvviso ci sospende.
L'inizio di una nuova giornata, un momento condiviso. Nulla di eclatante.
Eppure è  stato un momento felice. Allora.  Brevissimo, presto dimenticato. 
Salvo tornare a galla come un ospite inatteso mentre galleggiavamo dentro il grigio nel quale eravamo fino a quel momento. Ma lo volevamo, era necessario?
O avremmo preferito il silenzio, la tabula rasa, per ricompattarci, per avere tempo solo per le cose necessarie.Che è tutto troppo oggi, eccessivo, ingombrante, pure inutile. Anche  il ricordo a volte. Che sia felice o meno.
Posso ancora fidarmi della mia memoria, certo.  Con l'età è diventata più selettiva. Ma c'è, mi da spunti importanti, mi restituisce il passato con gli arretrati. Allo stesso tempo non è che impazzisco al pensiero di avere dimenticato qualcosa. 
Tutto bene alla fine, è bastato ricordarmi di non  ricordare e in un attimo è tutto di nuovo a tavola, bello e apparecchiato. Le caselline al posto giusto.
Io però con i ricordi a volte ci faccio a pugni, vorrei avere giusto il tempo per poterli dimenticare. 
Respirare immobile, al buio.

Grazie a Gabriele Romagnoli per lo spunto.